Link all'itervento di Maria Anita (12 febbraio 2020)
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L’ANGELO DELLE PERSONE CARCERATE
DON GIUSEPPE BISTAFFA (1921 – 2006)
Autentico testimone del Vangelo
Nel maggio del 1972 il Vescovo Ausiliare di Bologna Mons. Luigi DARDANI, scrisse a nome del Card. Antonio POMA, a don Giuseppe BISTAFFA Superiore Generale dei Poveri Servi della Divina Provvidenza (Opera don Calabria di Verona) riguardo l’assistenza religiosa al carcere giudiziario di San Giovanni in Monte a Bologna. Seguì un carteggio fra don Giuseppe Bistaffa e Mons. Dardani. In quei mesi (primavera-estate 1972) stava per riunirsi il Capitolo Generale della Congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza che doveva eleggere il successore di don Bistaffa.
Il 7 luglio 1972 il Card. POMA scrisse personalmente a don Bistaffa (ancora in carica) sollecitandogli nuovamente che il problema del carcere fosse portato alla conoscenza dei padri capitolari.
Don Giuseppe presentò egli stesso la richiesta del Cardinale in sede di Capitolo Generale, facendola seguire da una nota scritta di suo pugno in data 2 agosto 1972.
Non appena eletto, il nuovo Superiore Generale don Adelio Tomasin inviò una lettera il 10 agosto 1972 al Card. Poma, riguardo il noto problema ancora in modo interlocutorio.
Il 12 agosto 1972, a stretto giro di posta il Card. Poma (1) rispose a don Tomasin fiducioso in un esito positivo della vicenda, e gli rammentò:
“il buon ricordo che Bologna conservava di una collaborazione avvenuta in tempo non lontano.(2)”
Don Bistaffa offrì la propria disponibilità per avviare a Bologna l’impegno in carcere al nuovo Superiore Generale don Tomasin, Egli desiderava con questa sua scelta essere tra i fratelli più abbandonati testimone della Misericordia del Padre che voleva rinnovare il cuore dei Suoi figli col perdono amoroso che Gesù è venuto a portare.
Don Bistaffa si trasferì a Bologna nel settembre del 1972, ed andò ad abitare presso la Casa del Clero di via Barberie dove rimase sino al 10 aprile 1973.
La frequentazione del carcere lo mise in contatto col Parroco di San Giovanni in Monte Mons. Emilio FAGGIOLI (3). Monsignore, visto la sistemazione precaria di don Giuseppe e di un suo confratello don Benedetto Zecchin, che nel frattempo era giunto anch’esso da Verona, propose di dar loro ospitalità nell’appartamento del sacrestano in via De’ Chiari, 6.
Il 14 settembre dello stesso anno giunsero a Bologna le “Missionarie dei Poveri” (ramo femminile dell’Opera don Calabria) che iniziarono un cammino di diaconia a servizio dei fratelli più emarginati. Inizialmente la Comunità si stabilì in via De’ Chiari per poi trasferirsi dopo alcuni mesi nel Santuario di Santa Maria della Pace al Baraccano. Don Giuseppe assieme al Confratello ed alle quattro suore Missionarie volle camminare con la Chiesa locale coinvolgendo nel suo servizio tutte le persone di buona volontà nella realtà del carcere, “luogo di massima sofferenza, di conseguenza degno della massima attenzione (4), ritenendo che questi “fratelli” dovessero appartenere a pieno titolo a tutta la Chiesa locale.
Nell’accogliere le quattro Missionarie don Giuseppe disse loro:
“….un pezzo di pane che la Provvidenza manda, può essere spartito anche con le Missionarie”.
Don Giuseppe divenne Superiore Generale nel 1968, ebbe il difficile compito di subentrare a don Luigi Pedrollo uomo di indiscusso carisma, braccio destro di San Giovanni CALABRIA. Alimentava la sua spiritualità con la preghiera, con l’assidua meditazione della parola di Dio, con il servizio ai più poveri.
Nel decimo anniversario della morte (2006), desiderai ricordare Don Giuseppe Bistaffa che non ha costruito case, non ha fondato opere, non ha scritto libri, non ha creato attorno a sé grandi interessi. Ha realizzato nella sua vita ciò che San Giovanni Calabria chiedeva ai suoi religiosi: “Siate Vangeli viventi”.
Bologna, 2 febbraio 2020
Paolo Mengoli
Note:
(1) E’ edificante notare l’interesse che il Card. POMA aveva per i problemi dei carcerati.
(2) Il riferimento è alla grande amicizia e collaborazione che San Giuseppe Calabria aveva instaurato con don Cremonini, riguardo il Collegino dei Buoni Fanciulli a Bologna.
(3) E’ interessante notare come Monsignor Fggioli sia stato una “porta” per la Chiesa di Bologna. Nel 1925 aveva accolto, carico di ben altre problematiche il Servo di Dio don Olinto MARELLA.
(4) Questo era il suo pensiero più volte espresso ai volontari che con lui iniziarono a collaborare
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Lettera delle Sorelle della Comunità San Giovanni Calabria
Roma, 15/10/2019
Anna e Roberto carissimi,
perdonate la mia lentezza nel capire quanto mi chiedevate di fare, ma ora cerco di rimediare dopo aver visitato il SITO del BARACCANO e ammirato con grande gioia quanto avete realizzato. Sento di ringraziare con Voi la Madre della Pace che vi ha dato l’ispirazione e coinvolgere i vari competenti per curare la realizzazione di un simile capolavoro.
- Mi commuove pensare che Maria dal Figlio Gesù morente sulla croce riceve il mandato di adottarci come figli e Lei non cessa di dimostrarci come assolve meravigliosamente tale mandato con tutta l’umanità.
- Bologna, ha scritto una ricchissima storia in relazione alla nostra grande Madre e ne è una conferma, ciò che Voi avete scritto sul Baraccano. Il titolo della PACE dato al Santuario a Lei dedicato, mi riporta ancora a Gesù: Gv. 15,27 “vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore”.
- E’ questa la pace che abbiamo avuto in dono, vivendo per lungo tempo accolti da questa tenera Madre. Ciascuno di noi, consacrati a Dio nell’Opera S. Giovanni Calabria, venivamo dalla grande tribolazione del Post. Concilio V. II, e come poveri tra i poveri abbiamo sperimentato il miracolo della PACE nei nostri cuori e in quanti hanno condiviso con noi un percorso di restauro umano-spirituale.
- Un po' di storia sul come e perché siamo giunti a Bologna: Don Giuseppe Bistaffa secondo successore nella guida della Congregazione dopo S. G. Calabria, ha ricevuto dal Card. Antonio Poma, l’invito ad inviare qualche membro dell’Opera a svolgere la missione di Cappellano presso il Carcere di Bologna. Don Giuseppe accolse l’invito del Cardinale, ma non avendo alcun Sacerdote disponibile per questa missione, iniziò lui stesso a visitare come volontario i Detenuti ristretti presso il Carcere di S. G. in Monte a Bologna, facendo il pendolare da Verona. Una volta concluso il suo mandato come Sup. Generale, D. Giuseppe, assunse in pieno l’impegno come Cappellano e andò ospite provvisorio alla Casa del Clero.
- Carisma dell’Opera S. G. Calabria: regola fondamentale della Divina Provvidenza è la PERSONA di GESU’ CRISTO come ci viene rivelata da tutto il Vangelo. Tuttavia, S. G. Calabria, è stato illuminato Dal Signore a proporre a sé e alla Famiglia Religiosa i seguenti passi evangelici come norma specifica di vita e come fondamento della missione speciale dell’Opera:
a) “Io vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete, la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo; non seminano, né mietono né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria , vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani verrà gettata nel forno,non farà assai più per voi, gente di poca fede? Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietitudini. A ciascun giorno basta la sua pena” (Mt. 6,25- 34)
b) “Disse il padre dell’indemoniato a Gesù…:”Se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci”. Gesù gli disse: “Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede” (Mc. 9,22-23).
c) “E li mandò ad annunziare il Regno di Dio e a guarire gli infermi. Disse loro: Non prendete nulla per il viaggio, né bastone né bisaccia, né pane, né denaro, né due tuniche per ciascuno” (Lc. 9,2-3) “Poi disse: Quando vi ho mandato senza borsa, né bisaccia, né sandali, vi è forse mancato qualcosa? - Risposero: nulla” (Lc. 22,35).
d) “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt. 10,8)
e) “In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt. 25,40) Dalle Costituzioni della Congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza, approvate il 15 agosto 1988.
- Le Sorelle “Missionarie dei Poveri” nascono in Uruguay nella città di Salto, spinte dalla fede nello stesso Carisma dell’Opera, incoraggiate e guidate dai Poveri Servi della Divina Provvidenza e con il consenso del Vescovo di Salto emettono i primi voti l’11 ottobre 1962. Un gruppo di giovani italiane fanno lo stesso percorso di formazione ed emettono i primi voti a Verona il 25 dicembre 1968.
- Nell’Opera esisteva già il ramo femminile, ma queste reclinarono l’invito rivolto loro dai Missionari che operavano in Salto
- L’arrivo di un nuovo ramo femminile indirizzato alla missione di Salto, non è stato accolto da gran parte della Congregazione e quando Don Giuseppe fu eletto alla guida dell’Opera, sembrava che il nuovo ramo femminile dovesse essere soppresso perché visto come doppione. La risposta di Don Giuseppe fu lapidaria: “io sono chiamato a promuovere VITA e no a sopprimerla”. Si adoperò tantissimo per far sì che la piantina appena nata progredisse bene.
- Il problema tornò alla ribalta quando al posto di Don Giuseppe venne eletto un altro a ricoprire la carica di Superiore Generale. Fu a lui che le Missionarie: sr. Marisa Abbadessa, Giovanna Lonis, Giuseppina Inginniu; chiesero la possibilità di fare in Italia una esperienza di attuazione del carisma in una realtà di estrema povertà, dove già i Poveri Servi operavano. La risposta immediata fu che in Italia non esisteva tale realtà. Ma il nuovo Superiore chiese uno spazio di tempo per la preghiera e attesa per vedere che indicazioni lo Spirito Santo avrebbe dato, perché fosse Lui a dirimere la questione.- Fedeli all’impegno della preghiera, passò diverso tempo e la luce apparve il 4 febbraio del 1972, quando decidemmo di chiamare al tel. Don Giuseppe che nel frattempo si era trasferito a Bologna, ospite della Casa del Clero e aveva iniziato a svolgere la sua missione in Carcere come Cappellano. In quella telefonata le Missionarie chiedevano a Don Giuseppe la possibilità di venire a Bologna per vivere con lui quella radicalità evangelica alla quale Dio ci chiamava e che lui ci aveva testimoniato durante il tempo del suo superiorato. La risposta fu: “un pezzo di pane che la Provvidenza manda, può essere spartito anche con le Missionarie”. Questa risposta l’abbiamo riferita al Superiore generale il quale fu ben felice della soluzione che si prospettava e approvò senza riserve la nascita di una Comunità a Bologna guidata da Don Giuseppe al quale si unì Don Benedetto Zecchin che condivideva con lui l’impegno in Carcere, ma come volontario. La Curia offrì loro un primo alloggio provvisorio di proprietà della Parrocchia S. G. in Monte, in Via Dè Chiari, 6 occupato precedentemente dal sacrestano. Ma già era nell’aria la possibilità per loro, Sacerdoti, di assumere la cura del Santuario della Madonna della Pace al Baraccano dove era necessaria la presenza di un Rettore per il servizio Pastorale rivolto agli Sposi che dopo il matrimonio si recavano a “prendere la pace” e assicurare la celebrazione di una S. Messa la domenica. Don Giuseppe e Don Benedetto si insediarono nell’alloggio di Via Dè Chiari, ma per poco, perché con l’arrivo delle Missionarie il 14 settembre del 1973, dovettero passare al Baraccano nonostante l’inospitalità dei locali dovuta ai lunghi anni di abbandono.
- Le Missionarie in Via Dè Chiari, impostarono la Vita Comune con i Confratelli Sacerdoti i quali intronizzarono subito Gesù Eucaristia in un minuscolo pianerottolo che fungeva da Cappella, dove si Celebrava la S. Messa ogni giorno, si pregava l’ufficio delle ore e si facevano lunghe meditazioni. Ci sembrava di toccare il Cielo con un dito, finalmente era stato gettato il piccolo seme di un nuovo inizio con Cristo, per Cristo, in Cristo, unico centro del nostro vivere e operare. Tutti uniti in ascolto dei suggerimenti dello Spirito per andare incontro ai Fratelli e Sorelle che Egli avesse messo sul nostro cammino.
- Le indicazioni non si fecero attendere, in quanto Don Giuseppe, ogni giorno, usciva dal Carcere con lunghi elenchi di richieste di aiuto da parte dei detenuti. Per la maggior parte si trattava di numerosi giovani che avevano bisogno di informare la loro famiglia o i loro amici perché provvedessero a rispondere alle loro richieste: avvocato, indumenti per cambiarsi ecc.. A tale scopo, una di noi, tutti i pomeriggi con Don Giuseppe andava alla ricerca delle persone indicate e i recapiti erano i sottopassaggi di Bologna, le fornaci abbandonate e altri ruderi dove trovavano rifugio questi giovani che facevano uso di strani intrugli di farmaci chiamati anfetamine. La legge puniva col carcere a quel tempo sia il consumatore che lo spacciatore delle sostanze stupefacenti.
- Ben presto questi giovani impararono il nostro indirizzo, dunque non c’era più bisogno di andare a cercarli, sapevano che potevano venire a qualsiasi ora di giorno e di notte.
- Gli abitanti di Via Dè Chiari vedendo questo strano via vai, cominciarono a preoccuparsi e si rivolsero al Parroco per chiedere aiuto. L’idea del parroco fu di raccogliere le firme per mandarci via. Una volta raccolte le firme, le portarono dal Vescovo, in Prefettura e in Questura. Ma come è vero che il male è pure al servizio del Bene, la risposta del Vescovo fu: “ma se in quella casa abitano persone che operano in Carcere è normale che non vadano a trovarli le figlie di Maria”. La Prefettura e la Questura esultarono di gioia perché vennero a sapere che qualcuno si occupava di questi giovani. Di fronte a queste risposte, alcuni del nostro vicinato iniziarono a guardarci con occhi diversi e addirittura ci portavano i dolcetti caratteristici di Bologna che confezionavano in casa.
- Intanto nel minuscolo ingresso di Via Dè Chiari continuava il nostro dialogo con i giovani: ragazze/i sempre più numerosi. Il loro aspetto era in perfetta linea con la moda del momento per chi decideva di opporsi al ”Sistema Costituito”,era fuori da ogni convenzione sociale e così pure il linguaggio riferiva con lucidità le analisi dei personaggi presi da loro come modello di vita. La loro aspirazione più alta era la LIBERTA’ CON PACE E AMORE. L’affermazione seria e convinta di questi valori fondamentali, andava a scontrarsi con il rifiuto categorico di vedere che nel concreto facevano scelte autodistruttive. Chiedevano il panino per vivere, ma poco dopo si iniettavano in vena la sostanza capace di ucciderli.
- Per noi questo rappresentava un immenso dolore, ma non avevamo alternative da offrire loro oltre l’ascolto, l’accoglienza a cuore aperto e l’elevazione a Dio nella nostra preghiera per ciascuno di loro perché lo Spirito Santo agisse nel loro cuore. Ci sembrava che accogliere la richiesta di alcuni di entrare a far parte della nostra Comunità, avrebbe potuto aiutarli a scoprire la bellezza del dono della vita e a formulare scelte a favore della vita stessa. I primi due che iniziarono un cammino con noi, ipotizzavano condizioni esterne a se stessi perché venisse in loro la forza per accogliere la vita, ma purtroppo non hanno mai capito che la risposta bisognava cercarla nel loro cuore e sono naufragati nelle loro contraddizioni. Con molti altri invece è stato possibile fare un cammino di riscoperta del dono della vita e assieme abbiamo creato spazi di accoglienza dignitosa all’interno del Santuario della Madre della Pace dove ci siamo trasferiti il 14 settembre del 1974.
- Appena trasferiti al Baraccano abbiamo scoperto che alcuni dei ragazzi sapevano lavorare la pelle e Don Benedetto procurò loro tutta l’attrezzatura necessaria per realizzare bellissime borse che i nostri amici Volontari compravano e il ricavato si gestiva per i loro bisogni personali. Trattandosi di giovani, pieni di belle energie e grande creatività, non ci siamo mai sentiti di chiedere aiuti economici all’Ente Pubblico, ma indicazioni per opportunità di lavoro non protetto. Dopo aver capito che i nostri giovani non avrebbero mai potuto inserirsi nel ciclo del lavoro normale, dato il loro aspetto e l’incapacità a seguire il ritmo che questo comporta, abbiamo preso la decisione di costituire noi una Cooperativa che avrebbe dato ai ragazzi la competenza di base per poi entrare nel ciclo lavorativo normale a pieno titolo e dignità. In questo Don Renzo Brunelli è stato grande maestro che con immensa pazienza insegnava ai giovani come tenere in mano un pennello e anche la precisione nella pulizia dei giardini adiacenti alle case che l’Ente Autonomo ci affidava dopo aver vinto un bando regolare. Una volta apprese le varie competenze e il ritmo necessario per guadagnarsi uno stipendio, molti dei giovani entravano nel ciclo lavorativo normale dove esprimevano al massimo le loro capacità. Con il lavoro dignitoso e una discreta capacità di gestire il denaro, uscivano dalla Comunità e andavano ad occupare gli appartamenti che il Comune ci aveva messo a disposizione per tale scopo. Intanto ci si metteva in fila con i bandi pubblici che preparavano all’assegnazione di un alloggio popolare e a questo punto l’autonomia era piena.
- Gli Amici: il primo fu Paolo Mengoli, membro della S. Vincenzo a S. Procolo, che venne a farci visita e veduto che noi missionarie lavoravamo per mantenerci, disse non è giusto, il vostro servizio è troppo prezioso, ci pensiamo noi a provvedere ai panini per i ragazzi. Da quel momento non ci ha mai abbandonato e si è adoperato in tutti i modi insieme ai suoi amici per individuare gli aiuti necessari alla vita dei giovani che si stavano impegnando a costruire nuova vita. Tra i medici che ci aiutarono tantissimo in quei primi tempi si distinsero: la Dott.ssa Teresa Alberti all’Ospedale Maggiore e Professor Franco Bianchi al S. Orsola. Innumerevoli furono coloro che offrivano la loro collaborazione e contribuivano a dare vita a iniziative rivolte ad alleviare la sofferenza dei ristretti in carcere.
- Don Angelo Cavagna scelse il Baraccano come luogo di incontro per i giovani che si preparavano al Servizio Civile e alcuni di loro si impegnavano con Don Renzo nella Cooperativa e nel servizio fuori dal carcere in un piccolo locale della Parrocchia adiacente ad esso, adibito a ufficio dove si ricevevano coloro che avevano bisogno di parlare e i parenti dei detenuti, soprattutto nelle lunghe attese per il colloquio nei giorni rigidi dell’inverno. I ragazzi del Servizio Civile erano sempre disponibili oltre che nelle varie necessità del momento, anche per altri progetti della Comunità: es. dopo l’apertura della Casa a Marzabotto.
Don Franco Fregni venne da noi con i giovani dell’Azione Cattolica che si adoperavano in mille modi per aiutarci. Così pure il gruppo delle Famiglie che si riunivano attorno a lui misero a disposizioni le loro ricche competenze per l’aiuto alla Comunità divenuta molto numerosa.
- I giovani dell’Azione Cattolica, animavano la liturgia nella S. Messa che Don Giuseppe celebrava tutte le domeniche. In quella Messa, ciascuno portava e offriva il proprio fardello con Cristo al Padre e l’ascolto della brevissima omelia di Don Giuseppe, apriva i cuori ad accogliere Gesù Eucaristia e con la forza del Suo Spirito si riprendeva il cammino più spediti. Il saluto finale era il momento in cui ciascuno esprimeva la gioia dell’amicizia e quanto nella trascorsa settimana aveva compiuto dedicando il proprio tempo per aiutare qualcuno.
- Al tempo del terremoto in Friuli: 1976/78, la Chiesa di Bologna si gemellò con la Parrocchia di Prato di Resia e paesetti limitrofi. Don Tarcisio Nardelli con i giovani dell’Azione Cattolica vennero al Baraccano per invitarci a partecipare al lavoro della costruzione di prefabbricati per dare alla popolazione la possibilità di non abbandonare il loro paese. Partirono con D. Tercisio, alcuni dei nostri giovani e due missionarie: sr Marisa e Giovanna una della quali sr. Marisa tornò poco dopo, mentre Giovanna si fermò in Friuli per due anni svolgendo soprattutto un servizio Pastorale.
- La Provvidenza del Padre alla quale ci affidavamo attimo per attimo, ci dimostrò abbondantemente la Sua capacità di prendersi cura del povero che a Lui si affida. Innumerevoli persone anche non cristiane e non praticanti si avvicinavano a noi gratuitamente come si fa tra semplici famiglie che solidarizzano quando a spingerli è l’amore. Una persona ci sembra importante però citare come strumento della Provvidenza in quei tempi: Una vecchietta che abitava in Via S. Stefano in un sotterraneo poverissimo, ogni giorno usciva con un carrettino a raccogliere i cartoni che i negozianti lasciavano sotto i portici, li vendeva e con il ricavato comprava la verdura che poi portava a noi. Non abbiamo mai saputo il suo nome perché a chi le apriva la porta si raccomandava di non dire a nessuno di questo suo gesto: “che non lo sappia neppure il gatto”. Dopo si recava alla porta del Santuario, si prostrava in preghiera e andava via.
- Con l’avvento della Legge sulla Riforma Carceraria nel 1975, alcune di noi hanno partecipato al corso di preparazione dei Volontari per entrare in Carcere organizzato dall’avvocato Cioffi e condotto dal Dottor Margara. Ma nonostante la legge non era facile entrare in Carcere finché è stato a S. G. in Monte in quanto dichiarato non sicuro. Due di noi però con i dovuti permessi entravano nella sezione Femminile e una per i colloqui al maschile, ancora ai tempi in cui era Direttore il Dottor Buscemi e dopo il trasferimento del Carcere alla Dozza, l’attività ha continuato con un folto gruppo di Volontari che più tardi si sono costituiti in Associazione .
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TESTIMONIANZA su alcuni anni passati al Baraccano.
Motivazioni e storia.
Quando conoscemmo la realtà del Baraccano Io e Tiziano eravamo una giovane coppia poco più che ventenne che stava crescendo e formandosi.
Il clima culturale, sociale, politico di fine anni ’70 era estremamente vivo e vivace. Penso di avere fatto parte di una generazione privilegiata, avere avuto 20 anni in quel periodo ci ha messo nelle condizioni di crescere e maturare in un clima di stimolo politico molto particolare.
Questo fermento si respirava anche in area ecclesiale. Anche in questo ambito, bastava andare a cercarle, si potevano trovare apertura e curiosità per forme di vita in comune, all’insegna di quelle che erano parole chiavi forti: solidarietà, fraternità, ascolto, condivisione.
Contro quelli che noi percepivamo come dis-valori dominanti come accumulo, prestigio, sfruttamento, indifferenza, far parti uguali fra diversi. Gramsci e Don Milani nei nostri pensieri erano connessi e producevano sogno e bisogno di azione coerente.
I giovani, per definizione “rompono”. Hanno carica, energia, entusiasmo. Non vedono limiti ai propri progetti e aspirazioni. Ai propri sogni.
Con questo stato d’animo noi due incrociammo nel 1980 la Comunità del Baraccano. Tiziano stava svolgendo il suo Servizio Civile come obiettore di coscienza al GAVCI, gruppo di obiettori con forte consapevolezza antimilitarista, che aveva la sua guida in padre Angelo Cavagna, dehoniano.
Tra gli obiettori incontrammo e presto stringemmo forti legami di amicizia con Graziano Bandini che già svolgeva il suo Servizio Civile presso l’Impresa di Pulizie e Tinteggiatura nata da un progetto della Comunità per offrire occasione di lavoro protetto a chi ne necessitava. C’erano Marco Pieri e Beppe Pierantoni che invece lavoravano in carcere, affiancando Don Giuseppe, le suore missionarie e integrando il gruppo dei volontari.
A quel punto il passo fu breve. Io e Tiziano cercavamo un’esperienza che ci permettesse di partire con la nostra vita di coppia in un contesto di attenzione sociale a chi, in quegli anni, sentivamo soggetti NON RICONOSCIUTI di valore, di dignità, di ascolto.
Cioè, esattamente le persone a cui la Comunità del Baraccaono apriva la porta.
Se noi ci mettemmo il sogno, la C. del B. ci mise l’accoglienza, la curiosità, la capacità rara di mettersi in gioco. Perché non è affatto scontato che religiosi e religiose accettino la sfida di misurarsi con chi ha fatto scelte di vita diverse.
Così come non è facile trovare chi, già adulto, maturo e strutturato accetti di confrontarsi, così da vicino, con un’altra generazione.
Ma la scelta e l’abitudine di misurarsi con l’alterità, in un clima di fraternità e di rispetto e non di giudizio, era tra loro ormai pratica consolidata. Rappresentavano un’esperienza unica nel panorama ecclesiale contemporaneo, almeno bolognese, e probabilmente, aggiungo, irripetibile.
Bè, noi ne approfittammo….
E così, il 4 ottobre 1981 ci sposammo e venimmo ad abitare qui, con loro, occupando la sala sopra la sacrestia, accanto alla stanzina di Graziano, e vicinissimi a dove abitavano Alessandro, Elisa, Marianna…
Io studiavo e lavoravo al S.Orsola. Tiziano, finito il suo Servizio Civile al Villaggio del Fanciullo dove svolgeva attività di supporto educativo e scolastico a ragazzi in condizione di fragilità sociale, cominciò a lavorare, anche lui, nell’Impresa di Pulizie e Tinteggiatura, insieme a quella grande figura, mite e fortissima a un tempo, che fu don Renzo, insieme a Graziano, a Mario Beghelli, altro obiettore del GAVCI, e a tanti altri ragazzi. Iniziò così una convivenza di vita che implicò la messa in comune di tempo, lavoro, spazi, quotidianità, stipendi, idee, progetti, spiritualità…
Come in ogni convivenza anche noi, nei 4 anni che ci videro riconoscere questa come la NOSTRA CASA, attraversammo, insieme a loro, momenti di condivisione e di crescita, , di confronto, di conflittualità, di allegria e di fatica.
Qui nacque Francesca, la nostra prima figlia. E quante volte attraversammo con lei questa chiesa, coprendola di tutto punto in inverno per passare dal calore di camera nostra a quello della cucina dove insieme consumavamo i pasti. Abbiamo sue foto in cui, a pochi mesi, seduta nel suo seggiolino, troneggiava al centro di una tavolata attorno a cui sedevano 15/16 persone…
Qui ricevetti da Giuseppe, Renzo e Giovanna in particolare, l’appoggio di cui avevo bisogno quando dovetti attraversare l’esperienza della morte prematura di mio padre che tanta energia e entusiasmo aveva speso insieme a Renzo e Graziano nella progettazione e realizzazione di parte dei lavori di ristrutturazione della casa di Marzabotto, uno dei progetti che in quegli anni presero forma per allargare e arricchire l’opera di accoglienza che la Comunità veniva via via ampliando.
Io e Tiziano, dopo 4 anni, maturammo una progettualità di vita diversa, cercammo di sperimentare insieme a Graziano e alla sua ragazza, Manuela, nuove forme di convivenza, sempre improntata alla condivisione di spazi e risorse, ma in una dimensione più laica e adatta alla nostra età e alla nostra condizione di genitori.
Fummo aiutati da loro anche in questo passaggio. Se al nostro arrivo ci fu apertura e accoglienza, alla nostra partenza seppero mettere in campo comprensione e accompagnamento in un percorso di uscita che ci permettesse di trovare al meglio la nostra strada.
Oggi noi, NON PIU’ GIOVANI, sentiamo molta sintonia con chi, GIOVANI DEL 2020, progetta di avvicinarsi al tema della solidarietà e dell’accoglienza, in questo luogo, che di questi valori è storicamente impastato.
Oggi questi valori vanno declinati però sulle nuove fasce di esclusione, rappresentate da chi scappa dalla propria terra per trovare altrove rifugio e condizioni di vita degna.
Non ha importanza se si fugge dal proprio paese a causa della guerra o di condizioni economiche non più sostenibili. Se si fugge dalle bombe o dalla desertificazione, dalla siccità, da cambiamenti climatici causati da un mondo industrializzato indifferente alle sofferenze che crea nel voler mantenere a tutti i costi il proprio stile di vita.
La cosa che conta è che queste persone sono qui, ed è un imperativo morale, sociale, etico e politico offrire forme strutturate di accoglienza vera.
Per questo spero che il Progetto dei giovani di PRENDIPARTE, che fanno parte dell’Associazione Amici del Baraccano e che hanno proprio questa finalità, possa trovare qui, tra queste mura, un suo spazio.
Rappresenterebbe CONTINUITA’ e FUTURO a partire da quelle radici profonde e importanti che la C. del B. seppe mettere in questo luogo. Radici che si incardinavano su valori imprescindibili che cambiano forma e modalità di realizzazione negli anni, ma che possono rigermogliare con nuovo vigore e forza nella stessa direzione di allora: avere cura degli esseri umani, a partire da chi più viene ferito nel proprio percorso di vita.
Bologna, 12 febbraio 2020