La nascita del Conservatorio

Le putte del Baraccano in preghiera davanti all'immagine della Madonna
Le putte del Baraccano in preghiera davanti all'immagine della Madonna
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La trasformazione della compagnia e l'idea del Conservatorio

Nel 1524 si pone la prima pietra del nuovo edificio della chiesa, che doveva assumere dimensioni simili a quelle attuali.

Questa decisione di ampliamento della chiesa è quasi contemporanea a un'altra decisione importante, quella di trasformare l’ospedale del Baraccano da ricovero per i pellegrini in transito a conservatorio per le ragazze (1528). Essersi posti questi obiettivi ambiziosi testimoniano una crescita della Compagnia ma anche un forte cambiamento dei suoi obiettivi.

Con la discesa dei lanzichenecchi e il sacco di Roma del maggio 1527 il flusso di pellegrini diretti a Roma si era quasi azzerato, e ciò convinse inizialmente i confratelli a trasformare l’ospedale in orfanatrofio, probabilmente per far fronte a una necessità contingente, dato il grande numero di bambini sbandati a causa di guerre, carestie ed epidemie.

Ben presto si fece strada l’idea di trasformare quella che fino ad allora era un’opera puramente caritativa, in un’opera educativa e formativa con una fisionomia precisa, tale da colmare una lacuna in un tessuto sociale in cui erano già presenti altre opere caritative e assistenziali, ciascuna con indirizzi specifici e a cui a suo tempo Giovanni II cercò di dare una certa razionalizzazione (ad esempio il conservatorio di Santa Marta gestito dall’opera Pia Poveri e Vergognosi, i collegi di Santa Croce e San Giuseppe e, al livello più basso, l’opera dei Mendicanti).

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Nascita del Conservatorio

L’idea era quella di trasformare il vecchio ospedale dei pellegrini in un conservatorio per fanciulle bisognose ma “di buona famiglia”. A differenza di un ospedale, la cui organizzazione poteva seguire esempi ampiamente collaudati, il progetto sviluppato per il “conservatorio” fu abbastanza complesso sia per ciò che riguarda il funzionamento sia per le regole di ammissione e di comportamento. Si tratta di un regolamento elaborato, costruito in modo da garantire il successo all’iniziativa, con tratti di modernità per noi sorprendenti, che per certi aspetti richiama più l’organizzazione di un opificio che quella di un collegio femminile.

Per adeguarsi a questi nuovi ambiziosi compiti, si sentì la necessità di una ulteriore riforma degli statuti della compagnia, in modo da assegnare ai membri della compagnia larga le mansioni operative necessarie alla gestione e al funzionamento del Conservatorio, mentre ai membri della compagnia stretta erano riservati vincoli più rigidamente spirituali e religiosi.

Le ragioni alla base di un tale profondo e impegnativo cambiamento d’indirizzo della Compagnia avevano di certo all’origine una mutata sensibilità, e quindi una attenzione spostata dall’aspetto caritativo a quello formativo, specie nel campo delle arti e dei mestieri, come strumento di promozione sociale.

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Nobili intenzioni (ma non solo)

Si capiscono le nobili intenzioni di preservare le giovani, specie se in difficoltà economiche, dal prendere tanto facili quanto cattive strade in un’epoca in cui la prostituzione era molto diffusa, e contemporaneamente di contribuire al progresso sociale ed economico della collettività bolognese con un’attività educativa e di preparazione al lavoro.

D'altra parte si percepisce però molto bene quanto a questa scelta abbia contribuito la necessità di formare mano d’opera femminile specializzata in un periodo in cui l’arte della seta, in piena espansione, costituiva una delle risorse economiche principali di Bologna. Questa consapevolezza doveva essere ben chiara in un ambiente sostanzialmente artigianale quale era quello della compagnia. Si pensi che alla fine del cinquecento più di 20.000 dei 60.000 abitanti della città vivevano lavorando la seta. 2.100 addetti alla torcitura davano lavoro a 12.000 tessitrici a domicilio, a 3.000 artigiani tessitori e alimentavano una forte esportazione di filati ritorti.

Per certi aspetti questo nuovo indirizzo era notevolmente avanzato rispetto ai tempi. Sarebbe interessante capire quanto alcune di queste idee, soprattutto quelle di tipo “previdenziale” come la costituzione di una dote per le ragazze intesa come capitale fruttifero da non intaccare, fossero originali o quale provenienza avessero.

Questa organizzazione fu molto apprezzata dal papa Clemente VII, Giulio de’Medici, uomo di grande cultura, che fu a Bologna per qualche tempo quando incoronò Carlo V (febbraio 1530). Egli nominò cavaliere il priore della compagnia e concesse ai confratelli di cucire una croce rossa sulla parte destra della loro cappa azzurra. Sia Clemente VII sia Carlo V portarono un ex-voto alla Madonna del Baraccano.

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Criteri di ammissione

La provenienza delle ragazze doveva offrire certe garanzie sia per ciò che riguardava il ceto di provenienza (preferibilmente artigiano o commerciale) sia per le condizioni economiche della famiglia che doveva essere al di sopra di una certa “soglia minima”. Si parla spesso del Conservatorio come luogo per ospitare figlie di famiglie “decadute” o ragazze orfane. In realtà la famiglia (o chi garantiva per la ragazza) doveva offrire solidità economica tale di poter riprendere la ragazza in caso non si fosse dimostrata adatta a quel tipo di vita e di attività.

Dobbiamo quindi pensare a famiglie, magari numerose, che vedevano vantaggioso poter affidare una figlia a un’istituzione che assicurava di preservarla, educarla, insegnarle un lavoro, darle una dote e trovarle marito. Non poco per allora, anche se il prezzo da pagare per la ragazza era alto, in termini di costrizione e di 12 ore di lavoro al giorno, una situazione certo più pesante ma non molto diversa da quella che si trovava sino a poco tempo fa in collegi in cui venivano pagate rette consistenti. E del resto non è che in famiglia le ragazze potessero godere di libertà tanto maggiori.

Venivano ammesse bambine fra i 10 e i 12 anni, sane e di bell’aspetto allo scopo di educarle ed addestrarle al lavoro per un periodo di sette anni. A 19 anni il Conservatorio si occupava di trovare un buon marito alle ragazze e di combinarne il matrimonio. Per la scelta del marito i criteri erano piuttosto severi per requisiti morali e condizioni economiche, e ancora non meraviglia che la scelta preferita fosse all’interno del ceto artigiano. Le ragazze che non si sposavano venivano in genere avviate alla vita monacale.

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La dote

Un segno di notevole modernità era la dote che veniva assegnata alle ragazze. Primo, perché l’ammontare della dote non era in relazione con la quantità o la qualità del lavoro svolto durante i sette anni di permanenza (che sicuramente fruttava bene alla comunità) ma era quella fissata dagli statuti cittadini.

Secondo punto interessante è che né la sposa né suo marito avrebbero mai potuto disporre interamente di quella somma, se non in casi di emergenza. La dote doveva costituire un capitale da investire e di cui godere i frutti, una forma di previdenza sociale ante litteram.

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La vita nel Conservatorio

La vita nel Conservatorio era piuttosto severa, con le ragazze praticamente confinate all’interno della struttura del Conservatorio, e con 12 ore di lavoro al giorno sotto l’occhiuto sguardo di maestre che insegnavano ma anche controllavano lavoro e comportamento. E selezionavano, dato che non era raro che qualche giovane, per trascuratezza o malattia, o per essersi dimostrata intollerante a quella vita, venisse espulsa. Le dodici ore di lavoro, la delicatezza delle mani e l’acutezza della vista di un personale così giovane e remissivo facevano del Baraccano un’ officina molto redditizia, dei cui manufatti, pizzi e merletti, i mercanti cittadini si contendevano l’acquisto.